Gottardo Frisiani

Il nobile Conte che per anni custodì la Camera di San Carlo

Il conte Gottardo Frisiani
Il conte Gottardo Frisiani

Gottardo Frisiani fu uno dei principali donatori del materiale presente al museo quando, sul finire degli anni '40, decise di cedere le preziose reliquie delle camere di san Carlo al rettore del santuario Giovanni Milani.

 

Studi recenti della scrittrice locale Gepi Baroni ne hanno fatto un ritratto colorito e spiritoso che possiamo leggere qui di seguito:

"Si chiamava Gottardo come quel suo illustre antenato vissuto tra il 1555, l'anno del Primo Miracolo, ed il 1608 che fu il fautore del consistente patrimonio fondiario della nobile famiglia Frisiani a Corbetta. Il "nostro" Gottardo, quel conte Gottardo Frisiani Parisetti (cognome aggiunto probabilmente per eredità da ramo materno) visse invece nel ventesimo secolo e fu l'ultimo componente dell'avito casato milanese rimasto a occupare la grande casa di Corbetta.

Aveva avuto illustri antenati Gottardo poiché, oltre al rilevante ruolo sociale dei Frisiani, c'erano state presenze importanti tra i suoi antenati: un Paolo Frisiani, noto astronomo di Brera e il suo stesso padre don Carlo che fu uomo di cultura e medico illuminato. Del Gottardo in questione si dice, come spesso accade agli appartenenti a nobili famiglie, che fosse un tipo alquanto originale.

Aveva ricevuto un'educazione da nobile, con precettori e studi confacenti al suo rango, era cresciuto in un contesto famigliare di grande religiosità, stretto tra le protettive figure della madre e della sorella Lina e la forte personalità del padre preso dai suoi studi di medicina e dalle responsabilità patrimoniali. Lui, Gottardo, corpulento, rosso di pelo, un po' goffo, certo intelligente e colto al punto da sapere le tre cantiche dantesche a memoria, ma un po' perso dietro ai suoi pensieri, era rimasto un gentiluomo di campagna che rincorreva sogni di antenati medioevali indossando a volte le loro armature ma che, peraltro uomo già fatto, giocava ancora a nascondino coi figli dei suoi mezzadri.

Insomma non voleva, non riusciva e non poteva crescere. Quando ne ebbe l'età, tra lo sconcerto e le perplessità del padre che da medico non poteva ignorare certi suoi limiti fisici congeniti, si lasciò impalmare da una Odescalchi che visse a Roma la maggior parte della loro vita matrimoniale, immersa nella vita di società della nobiltà capitolina e che, alla morte del suocero, incominciò a dilapidarne il patrimonio. Sempre da Roma il nostro conte ricevette per ben tre volte la notizia della sua paternità, da lontano, per telefono... ma ne fu ugualmente felice!

Lui passava i suoi giorni nello spettacolo del susseguirsi delle stagioni nel suo immenso, stupendo, antico giardino, nell'allevamento della selvaggina da liberare nelle sue terre con l'aiuto del fedele fattore Bernardo, nelle giornate di caccia affiancato dai suoi cani prediletti Zac, Isonzo e Bruk, nelle lunghe partite al tavolo da biliardo nella sala da gioco del palazzo.

Lo affliggeva un tic nervoso: quando era teso o troppo concentrato, con un gesto rapido allargava il colletto della camicia e sputacchiava nell'aria a mento basso con colpetti brevi e secchi.

Per questo, come da sempre si usa a Corbetta, gli appiopparono un soprannome e diventò per il popolino il "cunt Spùetta". Purtroppo con il passare degli anni fu preda di gente priva di scrupoli come antiquari improvvisati, furbastri, finti aiutanti e consiglieri interessati e, vittima del crollo economico della sua casata, giunse a risolversi per lo smembramento della sua considerevole proprietà terriera e nel 1949 vendette anche il palazzo che fu acquistato dalla famiglia Mereghetti, bisognosa di spazio per la propria distilleria.

Come finì la sua vita non ci è dato a sapere ma certamente ebbe in sorte un epilogo di vita comune a tanti altri appartenenti alla nobiltà terriera che, dopo aver conosciuto agi e splendore, furono incapaci di stare al passo coi tempi e finirono per essere vittime dei tempi stessi e della loro condizione.

 

Di una cosa noi corbettesi dobbiamo essere grati al nobile Gottardo Frisiani, per un suo gesto che merita la riconoscenza di tutta la cittadinanza: la donazione dei preziosi arredi delle "Camere di San Carlo" in accordo con l'allora rettore del Santuario don Giovanni Milani. [...] Questi preziosi arredi che furono mostrati al pubblico per la prima volta durante le celebrazioni del quarto centenario della nascita del santo, proprio quest'anno, anno carolino, verranno riproposti in Santuario durante le solennità del Perdono in una nuova, più confacente veste museale."

 

Gepi Baroni